Vita dura e avventurosa quella di Emanuele Blandamura (detto il Sioux per la sua grande ammirazione per l’antico e fiero popolo del Nordamerica). Abbandonato alla nascita dalla madre e cresciuto dai nonni paterni, ha trovato la via del riscatto attraverso la “nobile arte” della boxe, imparando il rispetto per sé stesso e per gli altri. Oggi, dopo una carriera costellata di vittorie e sconfitte (poche in realtà, ma sono quelle che più gli bruciano e che forse più lo hanno fatto crescere), Emanuele è un pugile maturo e soprattutto un “vero uomo”, in grado di dare agli altri quanto ha ricevuto in gioventù.
L’incontro del Sioux con la realtà di Spes contr spem, risale a circa due anni fa. Quell’incontro ha segnato l’inizio di un rapporto vero e duraturo con i giovani ospiti della casa famiglia L’APPRODO.
Emanuele, come è avvenuto il tuo primo incontro con la realtà di Spes contra spem, e in particolare con gli ospiti della casa famiglia L’APPRODO?
Ero andato a un pranzo comunitario organizzato da alcuni miei compagni di fede (Emanuele è buddhista, NdR) sulla via Marcigliana, a Roma. Destino ha voluto che fossero presenti alcuni volontari e ospiti della casa famiglia L’APPRODO di Spes contra spem. L’intesa è stata immediata, perché chi ha conosciuto la sofferenza, quella vera, si trova spesso a parlare lo stesso linguaggio. Io mi sono sentito subito in perfetta sintonia con i giovani che abitavano nella casa famiglia di Spes contra spem.
Ragazzi ai quali la vita non ha mai regalato nulla, che si sono dovuti guadagnare ogni centimetro dello spazio in cui vivono, ogni briciolo di rispetto e persino di affetto. Ho cominciato quindi a frequentare L’APPRODO, a passare del tempo con i ragazzi che ci abitano, a cenare con loro.
Ho avuto anche il piacere di allenare due di loro in una palestra nelle vicinanze, trasmettendo non solo le tecniche ma soprattutto i valori della boxe che sono soprattutto rispetto, impegno e sacrificio personale. Insieme agli operatori e ai volontari di Spes contra spem, ho anche contribuito a trovare un lavoro a uno di questi meravigliosi ragazzi che, per moltissimi aspetti, mi ricordano me stesso.
In che senso?
Da piccolo non ero un angioletto, questo si può immaginare facilmente. Essere abbandonati alla nascita dai propri genitori non aiuta a inserirsi facilmente nella società. Quindi è ovvio che io possa capire questi ragazzi, sradicati dalla propria famiglia o dal proprio Paese d’origine. Ma, come ho scritto nel mio libro “Che lotta è la vita”, le persone meravigliose che mi hanno cresciuto (in particolare mio nonno Felice, che ancora porto in fondo al cuore e tatuato sulla spalla) e i miei vari maestri di vita (soprattutto insegnanti di boxe) mi hanno aiutato a cambiare, a trovare la mia strada. Ed è questo che cerco di fare ogni volta che posso passare del tempo con i ragazzi de L’APPRODO.
Cosa significa per il Sioux fare il volontario?
Innanzitutto non è una cosa che fai perché qualcuno ti ha detto di farlo. Non puoi fare il volontario di malavoglia o di fretta perché poi hai un altro impegno. Se vuoi aiutare gli altri, lo devi fare con tutto quello hai. Quindi devi decidere prima se hai il tempo e il cuore per farlo.
Magari anche solo una volta al mese. Ma quando lo fai, ci devi stare completamente, perché le persone che stai aiutando ti vogliono (e ne hanno il sacrosanto diritto) completamente loro disposizione, mentalmente e fisicamente.
Io quando vado a L’Approdo stacco la spina da tutti i miei impegni. Punto e basta.
Cosa ha dato invece il volontariato a Blandamura?
Tanto, tantissimo. Anche in questo caso è come quando ti alleni o affronti un mach: ogni volta impari qualcosa di importante, sulla vita, sugli altri, su te stesso. Spero davvero che i ragazzi de L’APPRODO si sentano arricchiti dalla mia presenza quanto io lo sono dalla loro.
Il percorso sportivo (e umano) di Emanuele Blandamura è comunque sempre in salita. Sabato 17 novembre il nostro Soux salirà nuovamente sul ring al PalaSantoro di Roma. Noi faremo il tifo per lui!