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Una comunità di giardinieri

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25 ANNI

Una comunità di giardinieri

 

Ogni volta che festeggiamo i 18 anni di uno dei ragazzi della casa famiglia APPRODO penso a quante ce ne ha fatte passare, a quanto era “bambino” quando è entrato e quanto ancora rapidamente crescerà una volta fuori da casa.

Durante le riunioni di equipe ci diciamo spesso, con tanta fiducia e una punta di frustrazione,  che non saremo noi a vedere i frutti del buon lavoro che facciamo.

casa famiglia per minori Approdo - ragazzi in spiaggia

A volte capita di incontrarli per strada dopo tanti anni, altre che qualcuno di loro torni a trovarci.

Nadir, per esempio. Ricordo quando è uscito dall’APPRODO, non gli sembrava vero di non dover più, finalmente, subire le ramanzine di noi educatori. Aveva sempre avuto le spalle grandi, ma da quando ha cominciato a lavorare come muratore è diventato ancora più robusto. Si è presentato con una bellissima ragazza e una splendida bambina: si è voluto sperimentare non solo nel tirar su i muri ma anche nel costruire una famiglia.

Quando ho rincontrato Baasim, invece, nel suo viso sempre sorridente e sognatore ho riconosciuto gli occhi che per una notte intera mi raccontarono l’orrore della guerra e la scommessa del viaggio attraverso il deserto di sabbia e il deserto d’acqua. Quegli stessi occhi oggi cantano che il sogno della musica si sta avverando e gli studi sono conclusi, grazie ad un lavoro umile ma onesto.

Ne ho molti in mente di rincontri felici come questi…

Spesso vedo Faarid a qualche seminario o alla vineria di un amico ormai comune e ci scambiamo osservazioni e consigli sul lavoro, perché ora fa il mio stesso mestiere.

Amir sta finendo l’università per poter fare il mediatore linguistico-culturale e ogni tanto viene a darci una mano quando non riusciamo a comunicare con qualche ragazzo appena arrivato.

Sono tanti i percorsi fruttuosi da poter raccontare, accanto, purtroppo, ad altri più sterili.

Dietro l’arrivo, il percorso e l’uscita dalla casa famiglia APPRODO, ci sono le notti passate insonni, la rabbia, le lacrime per un passato di violenze difficili da dimenticare. Poi ci sono la fiducia, il sorriso ritrovato, l’opportunità di uno stage. C’è la vita che riprende forma.

Ci vuole impegno e coraggio per scrivere storie belle. Ci vuole tempo, amore, dedizione per vedere crescere piante forti.

Sono in tanti ad avere un ruolo importante nel percorso di ogni ragazzo verso la riconquista di se stesso. Noi educatori, certo, ma anche tutti i volontari che scelgono di essergli accanto, le persone che gli danno la possibilità di fare uno stage e trovare un lavoro.

Noi piantiamo il seme, innaffiamo. Ma non basta. Ci diamo da fare per accogliere più volontari ed amici.

È necessario che ci sia una comunità di giardinieri che voglia steccare il fusto affinché cresca vigoroso e dritto, una comunità che continui ad innaffiare e voglia raccogliere i frutti.

 

Federico

(educatore e responsabile della casa famiglia per minori Approdo)

 

 

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