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Giornata mondiale del rifugiato: ri-partire dall’accoglienza

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Giornata mondiale del rifugiato: ri-partire dall’accoglienza “Stiamo partendo per qualche giorno, ma poi torniamo qui di nuovo?”. Con questo stupore Mohammed, ragazzo de L’Approdo accoglie la notizia di una vacanza organizzata

Spes contra spem gestisce una casa famiglia per minori non accompagnati, L’Approdo e una per neo maggiorenni Semi di autonomia. Cogliamo l’occasione per riparlarne  perché il 20 giugno è la Giornata Mondiale del Rifugiato, ricorrenza sancita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di oltre 70 milioni di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati nel mondo.
Uomini e donne costretti a fuggire da guerre e persecuzioni, a lasciare i propri affetti, la propria casa e tutto ciò che un tempo era la loro vita per cercare salvezza altrove. Tra loro ci sono anche bambini e adolescenti soli; se qualcuno una famiglia non la ha più, altri vengono “salutati” dai propri cari che in quel viaggio ripongono la speranza di un futuro migliore per il giovane in partenza.

Partire e ri-partire: per te cosa significano?

Ed è proprio sul significato di partire che vale la pena riflettere.
“Stiamo partendo per qualche giorno, ma poi torniamo qui di nuovo?”. Con questo stupore Mohammed (nome di fantasia, ndr), ragazzo de L’Approdo accoglie la notizia di una vacanza organizzata. Sì, vacanza; Mohammed non conosce questa parola: finalmente avrebbe potuto muoversi e divertirsi qualche giorno con gli altri ragazzi (e gli operatori), e non per viaggiare da un Paese all’altro pur di trovare accoglienza.
Il suo entusiasmo è contagioso quando, a fine esperienza, racconta quel senso di libertà mai provato, e quel contatto così stretto e totalizzante con il mare, il lago e la montagna.
Il suo entusiasmo è contagioso a ogni piccola “novità”: dormire in tenda e poi in un rifugio, nel silenzio della natura, osservare i panorami immensi e infine giunta la sera, poter gioire di un cielo stellato ripensando ai mille altri cieli che ha vissuto”.

 

 

Sostieni L’Approdo e Semi di Autonomia, ri-partiamo insieme dall’accoglienza

Sostenere strutture come L’Approdo e Semi di Autonomia significa non solo garantire accoglienza a questi ragazzi, ma far sì che Mohammed incontri altri giovani che hanno avuto esperienze simili, poterle condividere anche con uno psicoterapeuta, possa imparare l’italiano e frequentare la scuola, imparare un lavoro, avere gli strumenti per integrarsi da “adulto” autonomo… e perché no, fare una piccola vacanza di qualche giorno.
Per raccontarvi un po’ di quello che succede quotidianamente in una casa famiglia e qual è il modo di lavorare di operatori ed educatori, abbiamo scelto di intervistare Fabio, appassionato di culture e migrazioni, che da oltre 1 anno lavora in Spes contra Spem come educatore a L’Approdo.

 

 

Inclusione, accoglienza e incontro: così costruiamo una relazione

Perché si sceglie di lavorare in una casa famiglia?
Quando ho scelto di lavorare nella casa famiglia L’Approdo, il mio desiderio è stato rispondere alla domanda di un giovane migrante appena giunto in Italia “e ora che sono arrivato e ho trovato un approdo cosa posso fare per la mia vita?”. Nel mio lavoro quotidiano tengo a mente tre parole chiave che mi guidano nella relazione con l’altro: inclusione, accoglienza e incontro. Nella casa famiglia l’Approdo ogni giornata è caratterizzata da momenti di scambio continuo, in cui sento di crescere giorno per giorno sia professionalmente ma anche e soprattutto umanamente. Ho incontrato e incontro storie, vissuti emotivi e culture diverse, in cui il valore dell’integrazione e dell’inclusione sono le lenti attraverso le quali quotidianamente agisco. Il mio essere lì in quel luogo e in quel momento rappresenta un modello di riferimento da cui poter osservare e comprendere la società che ospita un migrante. Come équipe siamo molto attenti nel promuovere questo processo di modellamento reciproco in cui noi e l’altro un passo alla volta ci conosciamo e cresciamo insieme.

 

 

Ascoltare per restituire fiducia

Quali passi fai per entrare in relazione e riesci sempre ad entrare in relazione?
La relazione che si costruisce con i ragazzi è sempre unica e richiede un lavoro quotidiano, paziente e bilanciato. È per questo che ogni storia che accogliamo merita di essere ascoltata, accudita e protetta. Nello svolgere una funzione riparativa tra il passato e il presente di questi ragazzi, traduciamo il nostro lavoro nell’ascolto, nel dialogo e nel rispetto dei loro bisogni, nella fiducia su un futuro incerto ma possibile e ripartendo dalle ferite restituendo un senso di fiducia e appartenenza. Sono questi gli ingredienti che ritengo necessari per entrare e costruire una relazione nuova, diversa, ma altrettanto meritevole e possibile.

 

Contribuisci anche tu alle attività de L’Approdo e Semi di Autonomia!
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Giornata mondiale del rifugiato: ri-partire dall’accoglienza

“Stiamo partendo per qualche giorno, ma poi torniamo qui di nuovo?”. Con questo stupore Mohammed, ragazzo de L’Approdo accoglie la notizia di una vacanza organizzata

Spes contra Spem gestisce una casa famiglia per minori non accompagnati, L’Approdo e una per neo maggiorenni Semi di autonomia. Cogliamo l’occasione per riparlarne  perché il 20 giugno è la Giornata Mondiale del Rifugiato, ricorrenza sancita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di oltre 70 milioni di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati nel mondo.
Uomini e donne costretti a fuggire da guerre e persecuzioni, a lasciare i propri affetti, la propria casa e tutto ciò che un tempo era la loro vita per cercare salvezza altrove. Tra loro ci sono anche bambini e adolescenti soli; se qualcuno una famiglia non la ha più, altri vengono “salutati” dai propri cari che in quel viaggio ripongono la speranza di un futuro migliore per il giovane in partenza.

Partire e ri-partire: per te cosa significano?

Ed è proprio sul significato di partire che vale la pena riflettere.
“Stiamo partendo per qualche giorno, ma poi torniamo qui di nuovo?”. Con questo stupore Mohammed (nome di fantasia, ndr), ragazzo de L’Approdo accoglie la notizia di una vacanza organizzata. Sì, vacanza; Mohammed non conosce questa parola: finalmente avrebbe potuto muoversi e divertirsi qualche giorno con gli altri ragazzi (e gli operatori), e non per viaggiare da un Paese all’altro pur di trovare accoglienza.
Il suo entusiasmo è contagioso quando, a fine esperienza, racconta quel senso di libertà mai provato, e quel contatto così stretto e totalizzante con il mare, il lago e la montagna.
Il suo entusiasmo è contagioso a ogni piccola “novità”: dormire in tenda e poi in un rifugio, nel silenzio della natura, osservare i panorami immensi e infine giunta la sera, poter gioire di un cielo stellato ripensando ai mille altri cieli che ha vissuto”.

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Per raccontarvi un po’ di quello che succede quotidianamente in una casa famiglia e qual è il modo di lavorare di operatori ed educatori, abbiamo scelto di intervistare Fabio, appassionato di culture e migrazioni, che da oltre 1 anno lavora in Spes contra Spem come educatore a L’Approdo.

Inclusione, accoglienza e incontro: così costruiamo una relazione

Perché si sceglie di lavorare in una casa famiglia?
Quando ho scelto di lavorare nella casa famiglia L’Approdo, il mio desiderio è stato rispondere alla domanda di un giovane migrante appena giunto in Italia “e ora che sono arrivato e ho trovato un approdo cosa posso fare per la mia vita?”. Nel mio lavoro quotidiano tengo a mente tre parole chiave che mi guidano nella relazione con l’altro: inclusione, accoglienza e incontro. Nella casa famiglia l’Approdo ogni giornata è caratterizzata da momenti di scambio continuo, in cui sento di crescere giorno per giorno sia professionalmente ma anche e soprattutto umanamente. Ho incontrato e incontro storie, vissuti emotivi e culture diverse, in cui il valore dell’integrazione e dell’inclusione sono le lenti attraverso le quali quotidianamente agisco. Il mio essere lì in quel luogo e in quel momento rappresenta un modello di riferimento da cui poter osservare e comprendere la società che ospita un migrante. Come équipe siamo molto attenti nel promuovere questo processo di modellamento reciproco in cui noi e l’altro un passo alla volta ci conosciamo e cresciamo insieme.

Ascoltare per restituire fiducia

Quali passi fai per entrare in relazione e riesci sempre ad entrare in relazione?
La relazione che si costruisce con i ragazzi è sempre unica e richiede un lavoro quotidiano, paziente e bilanciato. È per questo che ogni storia che accogliamo merita di essere ascoltata, accudita e protetta. Nello svolgere una funzione riparativa tra il passato e il presente di questi ragazzi, traduciamo il nostro lavoro nell’ascolto, nel dialogo e nel rispetto dei loro bisogni, nella fiducia su un futuro incerto ma possibile e ripartendo dalle ferite restituendo un senso di fiducia e appartenenza. Sono questi gli ingredienti che ritengo necessari per entrare e costruire una relazione nuova, diversa, ma altrettanto meritevole e possibile.

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