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A 3500 metri di altezza per parlare dei diritti delle persone con disabilità in ospedale

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Il presidente di Spes contra spem ci racconta la sua esperienza sul Monte Bianco. Con lui Nicola Panocchia e Filippo Ghelma

“Portare il progetto della Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale a oltre 3500 metri di quota, in cima al Monte Bianco, la montagna più di alta d’Italia (o d’Europa, primato che ancora contentiamo alla vetta russa dell’Elbruss), non è stata solo un’esperienza emozionante. Lo spettacolo di quella natura che mozzava il fiato (per via dell?aria rarefatta, sì, ma soprattutto per la sua bellezza) ci ha infatti rafforzato nell?idea, se pure ce ne fosse stato bisogno, che ciò che stiamo facendo è una cosa altrettanto bella e altrettanto grande”.

Con queste parole il presidente di Spes contra spem, Luigi Vittorio Berliri, sintetizza il suo viaggio in Valle D’Aosta, a Courmayeur lo scorso 1 dicembre, dove ha partecipato a un incontro in cui si è parlato della Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale.

L’evento è stato realizzato nell’ambito della manifestazione “Ricomincio dal 3″ una settimana di convegni e dibattiti sul tema della disabilità, organizzata dalla Regione Valle D’Aosta e conclusasi il 3 dicembre, Giornata mondiale dei diritti delle persone con disabilità.

Con lui due compagni insostituibili, Nicola Panocchia – coordinatore del comitato scientifico della Carta e dirigente Medico del Policlinico A. Gemelli di Roma – e Filippo Ghelma – Responsabile del progetto DAMA e vicepresidente della Fondazione Mantovani Castorina Onlus.

L’evento si è tenuto sullo Skyway Monte Bianco. “Una struttura bellissima- sottolinea Luigi Vittorio – moderna e accogliente e, soprattutto, priva di qualsiasi barriera architettonica“.

 

LA STORIA DI TIZIANA

Nel suo intervento, il presidente di Spes contra spem ha ricordato Tiziana Cocco, la cui vicenda è stata l’ispirazione fondamentale per la nascita della Carta. Ospite della casa famiglia CASABLU, nel 2004 Tiziana si ammala di una banale influenza e deve essere ricoverata in ospedale. Qui le viene a mancare totalmente il supporto delle persone che le vogliono bene e che soprattutto la conoscono, conoscono i suoi bisogni e sanno capire il suo modo di comunicare, bellissimo ma ‘diverso’. Dopo appena un mese dal ricovero, Tiziana, lasciata praticamente sola, muore di polmonite.

“In Ospedale – ricorda Berliri – la struttura e il personale non erano preparati a comprendere le esigenze di Tiziana e noi siamo sempre stati convinti che questo sarebbe stato fondamentale per curarla in maniera adeguata. Da questa convinzione è nato il progetto della Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale, il cui scopo fondamentale è quello di impedire che ciò che è capitato alla nostra Tiziana non capiti più”.

 

PAZIENTI DI SERIE B?

“Il 49% dei decessi in ospedale di persone con disabilità – conferma poi Nicola Panocchia – sarebbero decisamente evitabili, se le strutture e il personale adottassero quei percorsi personalizzati che noi indichiamo come fondamentali nella Carta. Basti pensare che il 41% di quelle morti sono dovute alle difficoltà di eseguire su pazienti con disabilità le necessarie indagini (come una Tac o un semplice prelievo) e in percentuali altrettante alte di casi il personale non riesce nemmeno a somministrare la cura (parliamo anche dell’assunzione di una semplice pasticca)”.

 

IL PROGETTO DAMA

L’ultimo intervento è infine quello di Filippo Ghelma, fondatore del progetto DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) presso l’Ospedale San Paolo di Milano.

Il concetto base del DAMA è quello di creare all’interno dell’ospedale (di ogni ospedale) un percorso assistenziale ‘personalizzato’ che si adatti alle esigenze particolari di ogni paziente, sopratutto per quelle dei pazienti con disabilità, che possono essere molto diverse da persona a persona. Per fare questo ovviamente servono personale preparato, strutture adeguate e protocolli specifici. Ma soprattutto serve cambiare mentalità, riportando al centro delle cure la persona.

“Per fare un esempio banale – spiega Ghelma – se il mio paziente si spaventa o si irrita a vedere il mio camice bianco, che faccio? Semplicissimo: mi tolgo il camice!”.

 

SI PUÒ FARE

I contributi di Berliri, Panocchia e Ghelma hanno ottenuto il plauso unanime del pubblico intervenuto e dell’Assessore alla sanità, salute e politiche sociali della Regione Valle D’Aosta Luigi Bertschy, che condivide pienamente gli ideali e gli scopi della Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale. La Regione Valle D’Aosta ha anche espresso l’intenzione di replicare sul proprio territorio il progetto DAMA. Decisamente una buona notizia.

“Mentre mi accingevo a ripartire per tornare a Roma – ci confida infine il presidente di Spes contra spem – mi sono guardato intorno con uno strano, rinnovato entusiasmo. Pensavo alla struttura avveniristica in cui ci trovavamo, capace di far arrivare agevolmente fin sul Monte Bianco tante persone con disabilità. Pensavo a un altro degli ospiti di quell’incontro, Marco Dolfin, figura straordinaria di atleta paralimpico e medico chirurgo che all’ospedale Giovanni Bosco di Torino è in grado di operare da una carrozzina (ovviamente all’avanguardia). Pensavo ai miei due compagni di viaggio, Nicola e Filippo, amici e persone straordinarie. Pensavo a Tiziana. Ho dato un ultimo sguardo all’immensità di quel paesaggio innevato che ci aveva accolti con tanta bellezza e ho pensato: si può fare”.

 

 

 

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