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L’interdipendenza nel lavoro di équipe.

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Due gli aspetti emersi nell’ultimo seminario online: da una parte l’esperienza degli educatori e degli operatori che dall’inizio dell’emergenza ad oggi hanno dovuto modificare, ripensare e rimodulare più e più volte il loro modo di lavorare e dall’altra l’esperienza di chi ha dovuto accogliere questi cambiamenti, come gli ospiti delle strutture residenziali o dei centri diurni, rinunciando alla quotidianità che fino al 9 marzo aveva scandito le loro giornate.

I cambiamenti richiedono tempo per essere metabolizzati, un tempo che l’emergenza non ha concesso a nessuno. Il pensiero predominante di questi mesi è stato per tutti, a maggior ragione per quanti lavorano nella relazione di aiuto, quello di mettere in sicurezza, mantenere la distanza, proteggere. Sono mancati e ancora mancano gli abbracci, le strette di mano. È stato necessario ridefinire gli spazi e riprogrammare le giornate, a volte con ritmi incalzanti, cercando di garantire la massima sicurezza e cura per quanti vivono nelle case famiglia. Le équipe hanno in alcune circostanze risentito di tale situazione, che inevitabilmente ha appesantito il lavoro e il confronto. Nelle situazioni di emergenza i conflitti possono essere espressione delle nostre paure, inquietudini e incertezze e, per coloro che lavorano a diretto contatto con le persone, l’avere spazi di decompressione e “mentalizzazione” di tali conflitti è di fondamentale importanza per permettere il defluire delle sensazioni e delle emozioni.

La pandemia ci ha esposti a un’attivazione emotiva e corporea che ha generato reazioni non previste, non facilmente gestibili, provocando in alcune circostanze una cristallizzazione del sistema, ma ha anche permesso di scoprire e mettere in campo risorse inaspettate e nuove. Lì dove il dialogo ha avuto centralità, e c’è stato spazio per il “pensiero condiviso”, seppure nella fatica di una situazione complessa, si sono esperite situazioni nuove e stimolanti.

K. Lewin definisce il gruppo come una “totalità dinamica”, evidenziando l’importanza dell’interdipendenza degli individui al suo interno. Ciò assume un valore specifico nel lavoro di équipe, dove è fondamentale evitare che ci sia autosussistenza e autoreferenzialità, perdendo di vista i “contenuti psichici” e la partecipazione psicologica dei singoli  (W. Bion) strettamente connessa al pensiero del gruppo.

S. H. Foulkes afferma che ogni rete genera una matrice, ovvero l’ipotetica rete di comunicazioni e relazioni in un determinato gruppo, che si forma con il contributo di ogni singolo partecipante. “Il gruppo come totalità è un organismo a sé stante, molto più ricco e complesso del singolo membro. In ogni gruppo si crea l’ambivalenza di fondo: il desiderio del nuovo e del cambiamento e la paura di ogni cambiamento, così si producono le difese e le resistenze, con il lavoro di gruppo si superano le resistenze arcaiche, in tal modo si rinforza l’Io del singolo e si effettua la maturazione del gruppo.”[1]

Superare la paura del cambiamento è possibile esclusivamente creando un ambiente consono alla condivisione, all’ascolto, alla circolarità e quindi all’interdipendenza.

Dott.ssa Claudia Radice

 

[1] M.Zanasi, N.Cinasi,(a cura di), Manuale di Gruppoanalisi, FrancoAngeli, Milano, 1995.

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